Tra monti, laghi, castelli e ville di delizia: il Cammino delle Grazie



Tappa 1 – Dalla chiesa di S. Eufemia alla contrada di Villincino

Chiesa di S. Eufemia

Chiesa di S. Eufemia

Informazioni
Collocazione: la chiesa di S. Eufemia si affaccia sull’omonima piazza, in località Incino.
Pavimentazione: Piazza S. Eufemia è prevalentemente pavimentata con lastre in pietra. Nella parte della piazza antistante la chiesa, una variazione della pavimentazione (cubetti in pietra circondati da una fascia in acciottolato) evidenzia l’area un tempo occupata dal Battistero alto-medievale dedicato a San Giovanni Battista. Il basso gradone che precede il campanile e la facciata è lastricato in pietra.
Barriere architettoniche: per accedere a Piazza S. Eufemia dal largo marciapiede che borda il lato occidentale della piazza e la separa da via Licinio, occorre passare dagli spazi dove si interrompono le catene rette da paletti che la delimitano. Precede il campanile e la facciata della chiesa un basso gradone che, in corrispondenza dell’ingresso principale, diventa uno scivolo in leggera salita.
Accesso: si accede alla chiesa di S. Eufemia dal portone principale in Piazza S. Eufemia, che immette in una bussola con apertura frontale.
Servizi: parcheggi disponibili nella vicina Piazza Vittorio Veneto e nelle zone adiacenti; sportello bancomat in via Volta – angolo via Mazzini; Farmacia in Piazza Vittorio Veneto.
Svago e Ristorazione: bar e ristoranti in zona.
Altre informazioni: la chiesa è generalmente aperta. Per gli orari delle S. Messe clicca qui www.santaeufemia.it/comunita/orari-s-messe

Descrizione
(Silvia Fasana)

La chiesa di S. Eufemia è una delle plebane più antiche dell’intera diocesi di Milano, la cui origine viene fatta risalire al V secolo. Nei secoli seguenti ha subito diversi ampliamenti e rimaneggiamenti; in particolare venne rinnovata in forme romaniche alla fine dell’XI secolo e allungata tra la fine del XVI secolo e l’inizio del successivo nella sua parte anteriore fino a portarla a ridosso del campanile.
Una pergamena dell’anno 891, conservata a Monza nell’archivio capitolare, ricorda come Sant’Eufemia fosse già in quell’anno un prestigioso centro di vita monastica. Con il passare dei secoli però la chiesa andò progressivamente in rovina, tanto che San Carlo Borromeo, nella sua visita pastorale del 1574, ordinò che il titolo di prepositurale fosse trasferito alla chiesa di S. Maria di Villincino, decretando la fine della sua importanza religiosa.
La semplice, piccola facciata della chiesa, rifatta probabilmente nel XVII secolo, è parzialmente occupata dall’imponente torre campanaria, alta 32,7 metri, che originariamente si ergeva staccata dalla chiesa. Edificata attorno al secolo XI probabilmente anche come torre di avvistamento e di difesa di tutta la Pieve, è diventata oggi il simbolo della città di Erba. A base quadrata, è costruita con piccole pietre squadrate e levigate insieme con una grande quantità di materiale di recupero di epoca romana: si possono riconoscere, soprattutto nella parte inferiore, alcune are ed epigrafi con iscrizioni latine. È scandita da cornici di archetti pensili; i tre ordini superiori sono aperti da monofore, bifore e trifore.
La facciata, rifatta probabilmente nel XVII secolo, ha nel portale, posto a filo del campanile, l’elemento di maggior rilievo. Nella nicchia del timpano spezzato è posta una copia (l’originale è all’interno) di un prezioso frammento scultoreo romanico in marmo bianco rinvenuto durante i lavori di risistemazione della zona presbiteriale nel 1970, forse risalente al XIII secolo. Rappresenta un personaggio maschile con un libro in mano, forse Il Redentore; alla sua destra e alla sua sinistra sono due piante, sulle cui chiome si posano due uccelli.
Sulla destra del portale di ingresso, una bassa finestra lascia intravedere una cappellina allestita in ricordo delle 77 vittime (quasi tutte donne e bambini) dei bombardamenti sulla città avvenuti il 30 settembre e il 1 ottobre 1944 ad opera delle Truppe Alleate.
L’interno, a una navata, ha pianta rettangolare con una cappella lungo il lato destro, e soffitto ligneo a capriate rifatto nel 1928. Sulla parete destra, accanto all’ingresso, è murata una pregevole acquasantiera romanica rettangolare in marmo di Musso con testine umane a rilievo, che reca incisa la data MCCXII (1212) e le lettere R.A.ME.F.FI., il cui significato è stato interpretato come: «Reverendus Abbas me fecit fieri».
La cappella laterale destra è dedicata alla Vergine Maria e fu fatta realizzare dalla famiglia Parravicini; è delimitata da una cancellata in ferro battuto. L’altare è impreziosito da un paliotto di scagliola al centro del quale spicca il trigramma di San Bernardino da Siena che indica Cristo (IHS), in cui la H centrale ricorda anche la M mariana. Sopra la mensa si trova un affresco tardo medioevale raffigurante la Madonna con il Bambino e i Santi Bartolomeo (patrono dei Parravicini), Giovanni Battista (legame con l’antico Battistero?) e due offerenti.
Ma l’opera più notevole della chiesa è un grande Crocifisso ligneo cinquecentesco con dipinta la figura di Cristo, di stile giottesco. Nei riquadri posti nei punti terminali della croce e venuti in luce durante il restauro del 1983, sono effigiati a sinistra Maria Addolorata, a destra San Giovanni, in alto la SS. Trinità.
Nella zona presbiteriale, che in origine era sopraelevata rispetto alla navata, si apriva nella parte sottostante una cripta a tre navate e tre campate, con volte a crociera, illuminata da un oculo oggi ancora visibile, anche se murato. In essa vi era un altare dedicato a San Materno.
Nel presbiterio, da segnalare, sotto la mensa, l’originale prezioso frammento scultoreo romanico in marmo bianco raffigurante Il Redentore e l’ancona lignea dorata sopra l’altare, risalente alla fine del secolo XVI. È costituita da una struttura a tempietto arricchita da statuette lignee (sostituite in seguito a furti) raffiguranti nella fascia inferiore da sinistra Santa Caterina d’Alessandria, San Pietro, San Paolo e Santa Eufemia, sormontati da Cristo alla colonna al centro, fiancheggiato da S. Giovanni Battista e un Santo Vescovo; alla sommità è rappresentata la Madonna.

Contatti
Comunità Pastorale S. Eufemia Piazza Prepositurale, Erba; tel. 031.641070; segreteria-cp@santaeufemia.it; http://www.santaeufemia.it/comunita/

Leggi qui per saperne di più sulla chiesa di S. Eufemia:
Sito della Comunità Pastorale S. Eufemia di Erba – Chiesa di S. Eufemia
Sito del Comune di Erba – Chiesa di S. Eufemia
Wikipedia – Chiesa di S. Eufemia
Sito di Lombardia Beni Culturali – Chiesa di S. Eufemia
Sito turistico del Triangolo Lariano – Chiesa di S. Eufemia

Per saperne di più consulta anche:
A. Marieni et al., La chiesa plebana di Sant’Eufemia ad Erba. Dalle origini ai recenti restauri, Comunità pastorale Sant’Eufemia – Parrocchia Santa Maria Nascente, Erba 2014.

Battistero di S. Giovanni: pianta dell'edificio scomparso

Battistero di S. Giovanni*
* struttura scomparsa del tutto o in parte

Descrizione
(Silvia Fasana)

Nella parte della piazza antistante la chiesa di S. Eufemia, una variazione della pavimentazione (cubetti in pietra circondati da una fascia in acciottolato) evidenzia l’area un tempo occupata dal battistero alto-medievale dedicato a San Giovanni Battista, il cui impianto è stato recuperato durante gli scavi archeologici effettuati nel 1994 sotto la direzione del prof. Sauro Gelichi dell’Università di Pisa e della dott.ssa Isabella Nobile dei Musei Civici di Como. Il Battistero risale al V secolo e originariamente era un piccolo ambiente a pianta quadrata, cui si accedeva da due parti, da est e da ovest, con al centro il fonte battesimale costituito da una vasca ottagonale. Nel secolo VIII-IX fu ristrutturato con l’aggiunta di un’abside rettangolare a oriente e con l’inserimento di un altare così da consentirne l’uso anche come cappella, appunto S. Giovanni di Incino. Nei secoli XII-XIV l’edificio fu ancora rimaneggiato, con la posa di una nuova pavimentazione e la trasformazione del fonte battesimale che assunse forma circolare. Il Battistero, ormai pericolante, fu demolito attorno alla fine del secolo XVI, quando avvenne il passaggio della dignità prepositurale dalla chiesa di S. Eufemia a quella di S. Maria Nascente a Villincino.
Tra l’abside del battistero e la chiesa sono state ritrovate diverse sepolture che attestano l’uso dell’area a cimitero.

(Tratto dai pannelli esplicativi all’interno della chiesa di S. Eufemia)

Contatti
Comunità Pastorale S. Eufemia Piazza Prepositurale, Erba; tel. 031.641070; segreteria-cp@santaeufemia.it; http://www.santaeufemia.it/comunita/

Per saperne di più consulta anche:
S.Gelichi, I. Nobile De Agostini (a cura di), Il battistero di San Giovanni di Incino, Erba, 2001.

Piazza del Mercato di Incino
Piazza del Mercato di Incino

Informazioni
Collocazione: Piazza Vittorio Veneto, più conosciuta con l’antica denominazione di “Piazza del Mercato” di Incino è situata a circa 100 metri da piazza S. Eufemia.
Pavimentazione: la piazza è pavimentata in lastre di porfido e fasce lastricate in pietra.
Barriere architettoniche: la piazza rimane leggermente sopraelevata rispetto alle vie adiacenti; per accedervi occorre salire sul marciapiede in mattonelle di cemento che la borda.
Servizi: parcheggi disponibili in Piazza Vittorio Veneto e nelle zone adiacenti; sportello bancomat in via Volta – angolo via Mazzini; Farmacia in Piazza Vittorio Veneto.
Svago e Ristorazione: bar e ristoranti in zona.

Descrizione
(Silvia Fasana)

Piazza Vittorio Veneto è più conosciuta con l’antica denominazione di “Piazza del Mercato” di Incino, perché in questo luogo si teneva il mercato almeno dal secolo XV. Al centro della piazza sorge il grande edificio porticato a nove arcate costruito nel 1827-28 su progetto dell’ing. Piero Corti di Pomerio, che riprese il disegno degli antichi portici brianzoli sotto cui i venditori potevano esporre le loro mercanzie al riparo dalla pioggia e legare gli animali agli appositi anelli ancora oggi visibili sulle colonne.
In passato si è spesso voluto identificare Incino con il “Licinii Forum” romano, citato da Plinio insieme con Bergamo quale sede dei Galli Orobi. Studi recenti mettono però in dubbio questa ipotesi o addirittura la negano. Incino fu comunque un importante centro in epoca romana, come attestano i numerosi ritrovamenti fatti nel secolo scorso proprio in questa piazza, tra cui alcune tombe e un sarcofago romano.
Piazza del Mercato fa da cornice alla tradizionale sagra del Masigott, che si celebra la terza domenica di ottobre e così chiamata dal nome del dolce tipico erbese preparato comunitariamente per festeggiare l’epoca del raccolto. La festa risale alla seconda metà del XVI secolo, quando l’arcivescovo di Milano San Carlo Borromeo spostò la dignità prepositurale dalla vicina S. Eufemia a S. Maria Nascente di Villincino, stabilendo che il clero di quest’ultima, in omaggio all’antica chiesa madre (da quel momento declassata al rango di semplice sussidiaria), si portasse qui con grande solennità ogni terza domenica di ottobre, per celebrarvi solenni funzioni religiose. Alla festa sacra si unì la dimensione profana legata ai miti e alle tradizioni del raccolto, fino a diventare inscindibili. Bancarelle, balli e canti, spettacoli e tutto l’apparato tipico delle feste popolari, anima la piazza, dove nella sera precedente si è fatto un grande falò propiziatorio.

(Tratto da G. Mauri, Alla scoperta di Erba e dintorni. Itinerario N. 1, Comune di Erba)

Contatti
Comune di Erba Piazza Prepositurale 1, Erba; Tel. 031.615111; comune.erba@comune.erba.co.it; www.comune.erba.co.it

Panorama della Valle Bova
Valle Bova (panorama)

Il punto di interesse non si trova lungo il percorso, ma lo si può ammirare da via Diaz.

Descrizione
(Silvia Fasana)

Volgendo lo sguardo dal Pian d’Erba verso i primi contrafforti della fascia prealpina, in direzione Nord, appare evidente un solco vallivo piuttosto impervio, la valle Bova, incuneata tra le pendici dei monti Bolettone, Puscio e Panigàa. L’ambiente è di una bellezza selvaggia, ancora ben conservato, e dal notevole valore naturalistico e paesaggistico.
La valle è scavata entro formazioni sedimentarie mesozoiche di origine marina, in cui si possono trovare frequentemente organismi fossili, in particolare Ammoniti. Essa prende il nome dal corso d’acqua che l’attraversa in tutta la sua lunghezza, il torrente Bova, alimentato da un certo numero di sorgenti perenni situate per lo più sul versante occidentale del Monte Panigàa, e dalle acque provenienti da numerose vallecole che solcano le pendici dei monti circostanti. Durante l’ultima imponente espansione glaciale quaternaria, la valle fu interamente occupata dai ghiacci, ad eccezione della parte più elevata, al di sopra degli 850 metri, come testimoniato dalla presenza del materiale morenico che il ghiacciaio ha trasportato e poi abbandonato sui pendii della montagna, costituito da sabbie, ciottoli e blocchi di granito, ghiandone, serpentino e gneiss, tutte rocce di origine alpina.
Caratteristica della valle è quella di essere divisa nella sua parte mediana da un’imponente parete rocciosa, costituita prevalentemente da calcari bianchi con lenti di selci (Maiolica). Questa bastionata in origine veniva superata dal torrente con una cascata, ma lo scorrere delle acque nei millenni ha inciso profondamente la roccia, scavando una stretta e profonda forra.
In questa stessa stessa parete si apre l’imponente ingresso della grotta denominata Buco del Piombo, una tra le più conosciute di tutta la Lombardia, un vero e proprio museo naturale all’aperto, che presenta molteplici motivi di interesse.
Dal punto di vista geologico il Buco del Piombo è scavato quasi totalmente nel calcare detto Maiolica, formazione sedimentaria di origine marina depositatasi sul fondo di un antico oceano durante l’ultimo periodo dell’era Mesozoica, il Cretaceo (140 – 65 milioni di anni fa). Si tratta di una roccia calcarea bianca compatta e ben stratificata, che presenta inclusioni di selce. La denominazione della grotta può essere ricondotta probabilmente al fatto che la roccia, in origine bianca, è invece ricoperta da una caratteristica patina di colore grigio-plumbeo, dovuta all’alterazione del calcare.
La formazione di questa cavità è legata a fenomeni di tipo carsico, determinati dall’azione “corrosiva” delle acque piovane – rese aggressive dalla presenza di anidride carbonica disciolta – sulle rocce calcaree facilmente fratturabili ed erodibili che costituiscono l’ossatura geologica del Triangolo Lariano. Questa incessante opera ha portato, nel corso di milioni di anni, alla formazione di un intrico di gallerie che si snodano sotto il pianoro dell’Alpe del Viceré. L’insieme di tali gallerie costituisce appunto il complesso carsico “Alpe del Viceré – Buco del Piombo”, ancora non del tutto esplorato. L’ingresso del Buco del Piombo è imponente e scenografico sia per le dimensioni sia per il selvaggio contesto nel quale è collocato. Paragonabile per dimensioni al Duomo di Milano, misura 45 m di altezza e 38 m di larghezza ed è occupato per buona parte da una coltre di detriti, residui di un vecchio riempimento, e dai ruderi di una fortificazione risalente al VI secolo.
Anche l’interno della grotta è un ambiente molto particolare: le acque di scolo sulle pareti e sulla volta contengono sali minerali calcarei che si depositano dando origine a stalattiti, stalagmiti e complicate concrezioni levigate. La grotta è colonizzata da una caratteristica microfauna, costituita da forme tipicamente cavernicole, cioè strettamente adattate a questo ambiente, tra cui Planarie, piccoli Crostacei, Miriapodi, e, tra gli Insetti, alcuni Collemboli e Coleotteri Carabidi.
Uno dei motivi di maggiore notorietà del Buco del Piombo è legato al ritrovamento del cosiddetto “Banco degli orsi”, un notevole accumulo di ossa dell’Ursus spelaeus, Mammifero plantigrado estintosi attorno a 18.000-20.000 anni fa durante l’ultima avanzata glaciale. Ma anche l’uomo, nei secoli, ha lasciato le sue tracce in questa grotta. Durante il Paleolitico Medio e Superiore, gruppi di cacciatori nomadi frequentarono la valle e sicuramente si avventurarono anche nella grotta, come è testimoniato dal ritrovamento di alcuni strumenti in selce. Nel vestibolo, a più riprese, sono stati inoltre rinvenuti frammenti ceramici e altri materiali di epoca romana (sec. IV-VI d.C.) e medioevale, quando la grotta fu fortificata con la costruzione di un ampio fabbricato che ne sbarrava l’ingresso. La tradizione popolare ricorda come nel 1160 gli erbesi vi si sarebbero ritirati dopo aver vinto la battaglia di Carcano contro il Barbarossa; lo stesso avrebbe fatto il nobile cavaliere Guelfo Parravicini nel 1316 per stendere il suo testamento. La grotta fu meta di studiosi e visitatori fin dal secolo XIX, tra cui anche la regina Margherita di Savoia.
Nel 2007 la Regione Lombardia ha riconosciuto il Buco del Piombo come “Sito di Interesse Archeologico e Ambientale”; sempre nello stesso anno, il medesimo Ente ha dichiarato la Valle Bova “Riserva Naturale parziale geologica, idrogeologica e paesistica”, affidandone la gestione al Comune di Erba, con lo scopo di tutelare le caratteristiche naturali e paesaggistiche dell’area e disciplinare e controllare la fruizione del territorio a fini scientifici e didattico-ricreativi.

Contatti
Comune di Erba Piazza Prepositurale 1, Erba; Tel. 031.615404; comune.erba@comune.erba.co.it; riservallebova@comune.erba.co.it
Museo Buco del Piombo via Cantù 15, Erba; Tel. 031.629599, 338.3053323; e-mail: info@museobucodelpiombo.it.

Leggi qui per saperne di più sulla Riserva naturale Valle Bova:
Sito del Comune di Erba – Riserva Naturale Valle Bova, da cui si può scaricare un dossier completo sulla Riserva e il suo ambiente.

Leggi qui per saperne di più sul Buco del Piombo:
Sito del Museo Buco del Piombo
AA.VV. Il Buco del Piombo. Un castello in una grotta, SAP, Mantova 2004.

Villincino

Villincino

Descrizione
(Silvia Fasana)

«Fino al 1908 frazione dell’ex Comune di Incino, poi entrato a far parte della “nuova” Erba, Villincino fu castello nel senso di paese fortificato. Sorse probabilmente sul finire del secolo X, al tempo delle invasioni degli Ungari, quando tutti i villaggi si munirono di mura per far fronte alle continue invasioni. Il borgo fu culla e proprietà della ricca e nobile famiglia Carpani, che tanta parte di storia ebbe nelle vicende del Piano d’Erba. Fu un centro di notevole importanza tra i secoli XI e XII, quando con Incino, Erba, Merone, CasIetto, Nibionno, Canzo, Albese, e numerosi altri centri della zona faceva parte di un vasto feudo dei conti Dal Verme. Nel XIII secolo si trovò contesa nelle lotte tra Visconti e Torriani per la signoria milanese ed è in questo periodo che il suo abitato venne distrutto, nel 1278 ad opera dei partigiani dei Visconti, vittoriosi dopo la battaglia di Desio e nel 1285 per mano dei Torriani, momentaneamente risollevatisi. Caduto in abbandono, il borgo non ritrovò più l’antico fervore di vita e divenne tranquilla dimora di nobili famiglie» quali i Casati, i Guenzati, i Rivolta.

(Tratto da G. Mauri, La via dei castelli. Itinerario N. 3, Comune di Erba)

Contatti
Comune di Erba Piazza Prepositurale 1, Erba; Tel. 031.615111; comune.erba@comune.erba.co.it; www.comune.erba.co.it

Leggi qui per saperne di più sul borgo di Villincino:
Sito del Comune di Erba – Rocca Villincino
Sito turistico del Triangolo Lariano – Borgo di Villincino

Villa Majnoni, attuale sede municipale

Villa Majnoni (Municipio)

Informazioni
Collocazione: Piazza Prepositurale 1
Pavimentazione: Piazza Prepositurale ha pavimentazione urbana, prevalentemente in cubetti in pietra.
Barriere architettoniche: l’edificio è accessibiie ai disabili.
Servizi: parcheggi disponibili in zona
Svago e Ristorazione: bar in Corso XXV Aprile e vie trasversali

Descrizione
(Ambra Garancini)
Il prestigioso e antico edificio, oggi di proprietà e sede del Comune di Erba, deve il proprio nome ai marchesi Majoni  d’Intignano, che ne divennero proprietari a metà Ottocento facendone villa di delizie e casino di caccia. A fine Ottocento ebbe successivi rimaneggiamenti curati dall’arch. Achille Majnoni figlio dei proprietari. Il grande parco della villa, attualmente giardino pubblico comunale, è ricco di essenze arboree pregiate  e custodisce un grazioso tempietto barocco, proveniente dalla Villa Reale di Monza  e donato ai marchesi Majnoni da re Umberto I, assiduo frequentatore di Erba. Dopo accurati restauri, il tempietto è stato inaugurato il 20 giugno 2015.

Contatti
Comune di Erba Piazza Prepositurale 1, Erba; Tel. 031.615111; comune.erba@comune.erba.co.it; www.comune.erba.co.it

Ville di delizia a Erba: il viale dei cipressi di Villa Majnoni

Le ville di delizia

Descrizione
(Silvia Fasana)

«Tutta l’Alta Brianza è ricca di dimore aristocratiche, le cosiddette ville di delizia, circondate da superbi parchi, sempre più o meno in vista dei laghi, piene di storia, di richiami letterari, di aneddoti e curiosità.
Il fiorire così rigoglioso di questo tipo di architetture si deve a diverse ragioni, la più importante delle quali è, ovviamente, la bellezza di questa zona che invitava nobili e borghesi a costruirvi dimore di campagna; la zona, inoltre, era facilmente raggiungibile da Milano in epoche nelle quali anche i piccoli spostamenti erano delle vere e proprie avventure. Ma altre ragioni, storiche e di costume, spiegano, più esaurientemente, come mai questa particolare zona della Brianza ebbe un fiorire così rigoglioso di architetture nobili.
Palazzo Carpani a Pusiano, a partire dagli ultimi decenni del XVIII secolo, divenne residenza estiva dei Viceré: l’arciduca Ferdinando d’Asburgo, per primo, come governatore del ducato milanese, aveva scelto il soggiorno di Pusiano, sembra per seguire anch’egli la moda che portava qui i nobili milanesi attratti dalla caccia alla pernice bianca, che si svolgeva con battute e riti simili a quelli della caccia alla volpe degli inglesi.
L’arciduca fu poi imitato dal Viceré Eugenio, figliastro di Napoleone, che legò più profondamente la sua presenza alla villa di Pusiano e acquistò l’Alpe sopra Erba che ancora oggi porta il suo nome, dove mandava in villeggiatura i suoi amati cavalli. Tornati gli austriaci, la villa di Pusiano continuò a essere, sebbene più sporadicamente, una delle residenze di campagna del Viceré Ranieri d’Asburgo.
Era naturale che, nel tempo, la presenza in loco di ben tre corti con tutto quel che ne concerne, quanto a vita mondana, facesse diventare questa zona particolarmente ambita come sede di fastose residenze estive.
Con l’avvento del regno d’Italia, l’Alta Brianza restò sempre esclusiva villeggiatura di nobili e borghesi. A Erba sorse addirittura un famoso ippodromo, sempre in competizione con quello milanese: alle corse, estive e autunnali, partecipava al completo la famiglia reale di Savoia, che vi giungeva dalla Reggia di Monza, e le ville locali che, nel frattempo, sulla spinta della sempre rinnovata moda erano diventate ancor più numerose, si contendevano i soggiorni del re Umberto e della regina Margherita. Tutto ciò ebbe termine con i tre colpi di pistola che il 29 luglio 1900 l’anarchico Bresci sparò uccidendo il sovrano: la corte abbandonò Monza definitivamente, la grande stagione mondana di questa zona ebbe fine per sempre e le ville tornarono ad essere soltanto dimore di campagna di abbienti famiglie, iniziando il loro lungo, lentissimo declino».

(Liberamente tratto da S. Fasana, G. Mauri, A. Molteni, Il Pian d’Erba e i laghi Briantei, Bellavite Editore, Missaglia 1998)

Chiesa Prepositurale di S. Maria Nascente

Chiesa Prepositurale di S. Maria Nascente

Informazioni
Collocazione: la chiesa prepositurale di S. Maria Nascente prospetta su Piazza Prepositurale, di fronte a Villa Majnoni d’Intignano, sede comunale.
Pavimentazione: Piazza Prepositurale è prevalentemente pavimentata con cubetti in pietra, con ai lati due strette fasce di lastre in pietra; davanti all’ingresso della chiesa c’è un’area rettangolare lastricata in pietra. I gradini del pronao sono in pietra; il pavimento sotto il pronao è lastricato in pietra come anche l’androne interno delimitato dalla bussola. L’interno della chiesa è pavimentato in piastrelle di pietra.
Barriere architettoniche: per accedere al pronao occorre salire due bassi gradini (sul lato sinistro c’è però uno scivolo con corrimano sulla destra). La piazza è separata da via Gerolamo Majnoni da una serie di 13 pilastrini in ferro a sezione quadrata, alti circa 80 centimetri e posti ogni circa 2 metri.
Accesso: alla chiesa si accede generalmente dal grande ingresso che dà su Piazza Prepositurale, che fino al 1975 era quello principale. Questo ingresso immette in una bussola con apertura laterale destra.
Servizi: parcheggi disponibili in zona; sportelli bancomat e Farmacia in Corso XXV Aprile; Uffici Comunali in Villa Majnoni d’Intignano, in Piazza Prepositurale.
Svago e Ristorazione: bar in Corso XXV Aprile e vie trasversali.
Altre informazioni: la chiesa è generalmente aperta. Per gli orari delle S. Messe clicca qui www.santaeufemia.it/comunita/orari-s-messe

Descrizione
(Silvia Fasana)

Già nominata nel secolo XIII da Goffredo da Bussero con il nome di S. Maria Bella, la chiesa di S. Maria di Villincino (come veniva citata nei documenti) divenne sede prepositurale nella seconda metà del XVI secolo, per ordine di San Carlo Borromeo, che in visita nella Pieve d’Incino, ne ordinò il restauro e l’ampliamento e la elevò a chiesa-capo della Pieve al posto dell’antica plebana di S. Eufemia. Rimaneggiata nel ‘700 e poi nell’800, di nuovo ampliata nel primo ‘900, nel 1975 ha subito un ultimo e radicale rimaneggiamento su progetto dell’architetto Fulvio Cappelletti, che ha comportato il cambio dell’orientamento.
La facciata, realizzata a metà dell’Ottocento quando la chiesa fu allungata verso la piazza, è di stile tardo neoclassico ed è preceduta da un pronao con quattro colonne in arenaria.
Il portale centrale, in rame sbalzato è suddiviso in pannelli che rappresentano Scene della vita della Vergine ed è opera di Maffeo Ferrari (1964) così pure le due porte laterali al pronao. Sulla parete esterna sinistra, in corrispondenza di quello che era l’altare della Madonna del Rosario (dopo gli ultimi restauri diventato altare maggiore) si trovano ancor oggi murate due lapidi con epigrafi romane: la prima ricorda le «Lymphae et Vires», cioè le linfe e le forze, energie vitali della natura, divinità ereditate dal culto preromano e la seconda ricorda invece il dio agreste Silvano, che era preposto alla custodia e alla fecondità delle messi e degli armenti.
L’interno della chiesa si presentava almeno dal secolo XVIII fino al 1975 con orientamento est – ovest, con la navata unica posta in asse con la facciata che dà sulla piazza e due cappelle laterali, quella settecentesca della Madonna del Rosario a sinistra e quella primo-novecentesca dedicata a San Carlo Borromeo a destra.
Dopo l’ampliamento del 1975 la chiesa si presenta invece con orientamento nord – sud (probabilmente quello originario) e la cappella che prima era dedicata alla Madonna del Rosario ospita ora l’altare maggiore, alle cui spalle, in una nicchia, è conservata una statua lignea settecentesca della Madonna del Rosario.
Nell’attuale cappella sinistra si segnala il settecentesco simulacro ligneo di San Carlo, al di sotto del quale sono conservate le spoglie di Santa Vereconda Martire, inserite in una scultura in cera che riproduce le sembianze della Santa, molto venerata dagli erbesi e invocata contro la siccità. Nella stessa cappella, sulla parete destra, trova posto un simulacro di Maria nascente, a cui la chiesa è dedicata. Nel precedente presbiterio, ora cappella laterale destra, è rimasto il settecentesco altare maggiore in marmi policromi, mentre nella seconda cappella di destra è stato collocato il fonte battesimale con coperchio ligneo d’arte lombarda del XVIII secolo.

(Liberamente tratto da G. Mauri, Alla scoperta di Erba e dintorni. Itinerario N. 1, Comune di Erba)

Contatti
Comunità Pastorale S. Eufemia Piazza Prepositurale, Erba; tel. 031.641070; segreteria-cp@santaeufemia.it; http://www.santaeufemia.it/comunita/

Monumento ai caduti di Erba

Monumento ai Caduti di Erba

Informazioni
Collocazione: il Monumento ai Caduti di Erba si trova sul pendio dell’altura alle spalle di Erba detta “il Ronco dei Corti”.
Pavimentazione: la scalinata ha i gradini con l’alzata in pietra e la pedata in acciottolato; la terrazza panoramica ha fondo erboso, con due tracciati ortogonali lastricati in pietra che indicano le direzioni dei punti cardinali, identificando una croce.
Barriere architettoniche: il Monumento si presenta come una grande scalinata, piuttosto ripida.
Accesso: la base della scalinata del Monumento è all’inizio di Corso Bartesaghi; il sacrario e il terrazzo possono essere raggiunti anche dagli ingressi del Teatro Licinium (via Crotto Rosa), normalmente però chiusi.
Servizi: parcheggi disponibili in zona; sportelli bancomat e Farmacia in Corso XXV Aprile; Uffici Comunali in Villa Majnoni d’Intignano, in Piazza Prepositurale.
Svago e Ristorazione: bar in Corso XXV Aprile e vie trasversali.

Descrizione
(Silvia Fasana)

Il Monumento ai Caduti di Erba è stato progettato nel 1926 dall’architetto razionalista Giuseppe Terragni in memoria dei caduti della Prima Guerra Mondiale e realizzato tra il 1928 e il 1931 in una splendida posizione panoramica, dominante sulla città e la campagna; fu inaugurato il 29 maggio 1932.
«Pochi giorni dopo l’inaugurazione, Terragni scriveva a Pietro Maria Bardi: “Non è l’ultima parola del razionalismo, però è il primo monumento ai Caduti moderno realizzato in Italia”».
Si presenta come una monumentale scalinata in pietra rivolta verso la via centrale della città (Corso XXV Aprile), che supera un dislivello di circa venticinque metri lungo il pendio dell’altura alle spalle di Erba detta “il Ronco dei Corti”. Questa scalinata, affiancata da due filari di alti e slanciati cipressi, costituita da quattro rampe lineari di bassi gradoni, intervallate da tre pianerottoli, conduce a un sacrario, sulla cui cornice curvilinea campeggia la scritta: «Per quelli che furono, per quelli che sono, per quelli che saranno». Nel sacrario, accanto all’altare, sono stati posti due mortai e un ordigno; in origine vi era collocato un pannello in bronzo ad altorilievo di Lucio Fontana raffigurante la Vittoria. Una notte del 1936 il pannello, poco amato dalle autorità cittadine, fu rimosso per ordine del podestà, custodito per qualche tempo in una soffitta del palazzo comunale e quindi fuso per ricavarne bronzo.
Attorno al sacrario due rampe di scale si allargano ad emiciclo e salgono al terrazzo panoramico soprastante, cui fa da fondale una quinta ad esedra aperta da portali arcuati. Il terrazzo, su cui è stato collocato un cannone della prima Guerra Mondiale, si raccorda in piano al prato retrostante.
Quando fu costruito, il Monumento andava a creare un nuovo accesso al Teatro all’aperto Licinium, fatto costruire in forme classicheggianti qualche anno prima, nel 1928 per iniziativa di Alberto e Federico Airoldi di Erba su progetto di Fermo Bassi e Giacomo Pozzoli, e ne costituisce una sorta di continuazione e completamento.
«Del giardino del Licinium il monumento di Terragni riprende non solo il legame tra linee rette e curvilinee ma anche il rapporto tra segni incisi nel suolo e strutture in elevazione, in un continuo confronto tra natura e classicità».
«L’architettura è semplice, priva di ornamenti, severa nella composizione come nella scelta dei materiali e degli effetti cromatici, in un bel rapporto e contrasto tra la durezza della pietra e la morbidezza e lucentezza del verde, sia esso il prato, siano essi gli alberi che cingono e marcano l’inserimento del monumento nel paesaggio».
«Giuseppe Terragni nel progetto del Monumento ai Caduti interpreta il paesaggio particolare della Brianza erbese, cogliendone gli aspetti più significativi ed esaltandoli in una composizione di grande suggestione. Il tema che Terragni qui rappresenta è dunque l’ascesa, dal basso verso l’alto, dove l’emblematico uso della scala diventa occasione per rappresentare, non solo simbolicamente, il collegamento tra la vita della comunità, con il suo spazio cittadino, e il luogo della memoria».
«L’opera di Terragni si discosta non poco dalla più vasta teoria di monumenti celebrativi ai caduti del dopoguerra, suscitando la reazione polemica degli artisti migliori. Il progettista non cede alla retorica della celebrazione diretta degli eventi, ma ricorre ad un linguaggio molto semplice e comprensibile ai più, utilizzando nella sua trama gli elementi del luogo che si riflettono nel paesaggio circostante, al quale inevitabilmente tutta la composizione e lo spazio così organizzato si riferisce».

(Liberamente tratto da www.lombardiabeniculturali.it)

Leggi qui per saperne di più sul Monumento ai Caduti di Erba:
Sito di Lombardia Beni Culturali – Monumento ai Caduti di Erba
Wikipedia – Monumento ai Caduti di Erba
Sito del Comune di Erba – Monumento ai Caduti
Sito Alta Brianza – Monumento ai Caduti

Per saperne di più consulta anche:
L. Cavadini, Il Razionalismo Lariano. Como, 1926-1944, Electa, Milano 1989.
L. Cavadini, Architettura razionalista nel territorio comasco, Provincia di Como, Como 2004.

Teatro Licinium

Teatro Licinium

Informazioni

Collocazione: il Teatro Licinium si trova sull’altura alle spalle di Erba detta “il Ronco dei Corti”.
Accesso: due sono gli ingressi all’area del Teatro Licinium, entrambi da via Crotto Rosa: il primo attraverso una rampa di ripidi scalini, l’altro seguito da un viale pianeggiante al numero civico 2 di via Crotto Rosa.
Servizi: parcheggi disponibili nella zona di Corso Bartesaghi, Corso XXV Aprile e Piazza Prepositurale; sportelli bancomat e Farmacia in Corso XXV Aprile; Uffici Comunali in Villa Majnoni d’Intignano, in Piazza Prepositurale.
Svago e Ristorazione: bar in Corso XXV Aprile e vie trasversali.

Descrizione

Negli anni Venti, in un momento di generale sviluppo dei teatri all’aperto promosso – tra gli altri – da Gabriele D’Annunzio, i fratelli Alberto e Federico Airoldi concretizzarono l’idea di creare a Erba un nuovo elemento di interesse in grado di richiamare l’attenzione di turisti e villeggianti.
Milanesi trasferiti nella Contrada di Erba Alta, gli Airoldi, fin da ragazzi avevano manifestato grande passione per il teatro. In particolare Alberto, letterato e poeta, intuì la suggestione che la zona del parco pubblico confinante con l’albergo Crotto Rosa poteva evocare ospitando spettacoli classici. Così si esprimeva: «Occorreva un richiamo su questo incantevole paese di colli e di laghetti, inconfondibile veramente e degno di esser segnato tra i paesaggi più tipici e interessanti d’Italia, e venne l’idea del teatro all’aperto…».
Gli Airoldi avanzarono la proposta alle autorità comunali, che nell’estate del 1923 fecero erigere nel parco un palcoscenico in legno e un padiglione adibito a spogliatoio. Il teatro venne inaugurato il12 luglio 1924. Nel 1926 fu rappresentata per la prima volta La Passione di Cristo, che si richiamava ai drammi sacri medioevali. Nel marzo del 1928 una bufera di vento e neve abbatté il palcoscenico, ma i due fratelli non si scoraggiarono e decisero di ricostruirlo.
Il progetto fu affidato agli ingegneri Fermo Bassi e Giacomo Pozzoli, che non chiesero alcun compenso. Per valorizzare la cornice naturale, il nuovo teatro doveva essere ispirato ai dettami architettonici delle arene classiche, in linea tra l’altro con il culto della romanità imposto dal fascismo. Bassi e Pozzoli idearono un palcoscenico circolare fiancheggiato da un colonnato e delimitato da una scalea.
I lavori si conclusero in luglio e costarono circa 40 mila lire, coperti in gran parte dagli Airoldi. Sul cantiere capitò spesso l’architetto razionalista Giuseppe Terragni, impegnato in quel periodo nella progettazione dell’attiguo Monumento ai Caduti. Fu deciso di chiamare il teatro Licinium, dal nome del console Licinio che comandava l’antica colonia romana da cui nacque Erba.
L’inaugurazione avvenne l’11 agosto con il dramma L’Amore dei tre Re di Sem Benelli. Dal 14 agosto andò poi in scena per sei serate La Passione di Cristo, che già allora presentava i caratteri che l’avrebbero resa unica, come il Calvario ricostruito alle spalle della platea, su una gradinata scavata nella pietra.
Nel corso della sua storia, il Licinium ha conosciuto momenti di totale abbandono e altri di grande fama e splendore: famosissime le rappresentazioni della “Passione” e gli spettacoli di nomi importanti del teatro italiano, tra cui affermati registi e scenografi come Otello Sforza, attori quali Memo Benassi, Renzo Ricci, Evi Maltagliati, Laura Adani, Salvo Randone, Rina Morelli, Paolo Stoppa. Nel 1993 un ristretto gruppo di appassionati costituì l’Accademia dei Licini con la finalità di far rivivere la lunga e prestigiosa storia del Teatro Licinium. Nel 2010 l’Accademia decise di dedicare interamente la produzione teatrale alle opere di William Shakespeare, facendo sì che il Licinium diventasse l’unico teatro shakespeariano “sotto le stelle” in Italia. Vicende varie determinarono l’abbandono di questo progetto; attualmente il teatro, restaurato nel 2014, è sede di eventi artistici e culturali.

Liberamente adattato da M. Colombo, Teatro Licinium. Una storia che continua, Accademia dei Licini, Erba 2009 e da informazioni sul Sito dell’Accademia dei Licini www.licinium.it

Leggi qui per saperne di più sul Teatro Licinium:
Sito del Comune di Erba – Teatro Licinium
Sito Alta Brianza – Teatro Licinum
Per saperne di più consulta anche:
M. Colombo, Licinium. Un teatro una storia, Nuoveparole, Como 1991.
M. Colombo, Teatro Licinium. Una storia che continua, Accademia dei Licini, Erba 2009.

Panorama dei laghi di Alserio e Pusiano

Lago di Alserio (panorama)

Il punto di interesse non si trova lungo il percorso, ma lo si può ammirare da un punto panoramico di via Crotto Rosa.

Descrizione
(Silvia Fasana)

Incastonato tra il verde delle colline, in un’area fortunatamente non interessata dall’urbanizzazione massiccia e incontrollata, il lago di Alserio ha mantenuto un fascino selvaggio, quasi inconsueto per un angolo di Brianza. Originariamente formava un unico corpo d’acqua con quello di Pusiano, in una conca naturale scavata da una lingua glaciale proveniente da nord; i due bacini sono stati poi separati dall’accumulo dei sedimenti alluvionali trasportati dal fiume Lambro all’uscita della Valassina. È alimentato prevalentemente da sorgenti e da qualche modesta roggia stagionale; l’emissario è un affluente del Lambro.
Dal punto di vista naturalistico l’area riveste una notevole importanza per la presenza di un mosaico di ambienti diversi, caratterizzati da una varietà di specie vegetali ed animali tipiche: dal lago, cinto da un fitto canneto, al cariceto, al bosco, ai prati falciati. In particolare, nelle zone paludose sono state segnalate alcune piante rare ed interessanti, normalmente rinvenibili a fasce altitudinali più elevate (“relitti microtermici”), a causa del particolare microclima umido delle aree prossime al lago.
Ma il motivo principale di interesse naturalistico della zona circostante il lago di Alserio è legato alla presenza di una notevole varietà di uccelli stanziali e migratori. Tra le specie acquatiche si possono ricordare lo svasso maggiore, la gallinella d’acqua, la folaga, il moriglione, l’alzavola, il mestolone, la marzaiola e il germano reale; al canneto invece sono tipicamente legati il cannareccione, la cannaiola, il migliarino di palude, la salciaiola, il porciglione, il voltolino, il tarabusino e l’airone cinerino. Fino ad una trentina di anni fa si sono avute segnalazioni della lontra, un mammifero strettamente legato alle acque dolci, purtroppo oggi scomparso dalla provincia di Como e da gran parte dell’Italia.
La riva orientale del lago senza dubbio è la parte meglio conservata: per tale motivo è stata dichiarata nel 1984 “Riserva Naturale Orientata” dalla Regione Lombardia ed è stata affidata in gestione al Consorzio Parco della Valle del Lambro, in cui tutto il lago è inserito. L’area protetta comprende una fascia pianeggiante attraversata dall’emissario e occupata in gran parte da vegetazione palustre e da prati falciabili e, a meridione, il pendio della Buerga – la collina di Monguzzo – coperto da un bosco in cui dominano il frassino e il carpino bianco. Nel 2003 il lago di Alserio è stato identificato come Sito di Interesse Comunitario (SIC).

Contatti
Parco Regionale della Valle del Lambro via Vittorio Veneto 19, Triuggio (MB); Tel. 0362.970961; info@parcovallelambro.it; http://www.parcovallelambro.it

Per saperne di più consulta anche:
S. Fasana, G. Mauri, A. Molteni, Il Pian d’Erba e i laghi Briantei, Bellavite Editore, Missaglia 1998.

Il lago di Pusiano da Erba

Lago di Pusiano (panorama)

Il punto di interesse non si trova lungo il percorso, ma lo si può ammirare da un punto panoramico di via Crotto Rosa.

Descrizione
(Silvia Fasana)

È il «vago Eupili» cantato dal Parini (che sulle sue rive, a Bosisio, era nato), lo «scintillante Eupili» vagheggiato da un innamorato Ugo Foscolo, lo specchio d’acqua tratteggiato dalle intense pennellate di Giovanni Segantini nell’“Ave Maria a trasbordo”. È il lago di Pusiano, il più celebrato tra i laghi briantei, forse per la dolcezza del paesaggio in cui è inserito. Come tutti i laghi briantei, mostra le caratteristiche tipiche di un bacino di origine glaciale. All’epoca della sua formazione, costituiva con il lago di Alserio un unico specchio d’acqua in una conca naturale a sud della città di Erba, scavata da una lingua del ghiacciaio proveniente da nord. I due bacini sono stati poi separati dall’accumulo di sedimenti trasportati dal fiume Lambro all’uscita dalla Valassina. Nonostante sia il lago della Brianza più profondo, è un lago piatto, con una profondità massima di 24 metri circa. Il lago di Pusiano è alimentato principalmente dal Lambrone, deviazione artificiale dell’originario corso del Lambro che, provenendo da Erba, si getta nel lago nei pressi del canneto del Lido di Moiana. Poche centinaia di metri più a valle esce l’emissario, che a Ponte Nuovo riceve le acque di quello del lago di Alserio e di alcune rogge minori, ricostituendo così il Lambro.
Nonostante la presenza di numerosi centri abitati a ridosso delle rive, le sponde del lago hanno mantenuto il loro aspetto naturale: sono infatti ancora presenti le diverse tipologie di ambiente umido ripariale di acqua dolce. Le ninfee bianche e i nannuferi gialli che colorano d’estate la superficie del lago con le loro fioriture erano già stati notati da Stendhal, che sul finire del mese di agosto del 1818 fece una breve gita in Brianza, descritta nel suo diario “Voyage dans la Brianza avec Giuseppe Vismara”: «La nostra barca ha costeggiato il lato meridionale del lago. Fra i giunchi abbiamo colto dei bei fiori bianchi, e un fiore giallo che ha qualcosa di egiziano». Tra gli animali spiccano per evidenza e quantità gli uccelli acquatico-palustri, che utilizzano lo specchio d’acqua e le aree a canneto come zone di alimentazione e riproduzione. In particolare si possono osservare anatre di superficie come il germano reale, l’alzavola, la canapiglia ed anatre tuffatrici come il moriglione e la moretta, oltre a folaghe e svassi.
Non si può parlare del lago di Pusiano senza citare una delle sue attrattive maggiori, la piccola Isola dei Cipressi, dalla caratteristica forma ovale, posta a poca distanza dalla riva a sud-ovest di Pusiano, di proprietà privata. Tracce di insediamenti palafitticoli sono state rinvenute sia sull’Isola che nelle località Comarcia e il Pascolo di Bosisio, a partire dal 1856.
Anche le acque del lago di Pusiano, soprattutto negli anni ’70 e ‘80 dello scorso secolo, hanno risentito purtroppo della crescente urbanizzazione dell’area circostante, con il conseguente aumento degli scarichi e quindi dell’inquinamento delle acque. Grazie ad un intenso lavoro di coordinamento tra le amministrazioni dei sette Comuni rivieraschi, si sta procedendo al collettamento degli scarichi fognari civili ed industriali e al monitoraggio capillare dello stato delle acque. Il lago di Pusiano è integralmente compreso entro i confini del Parco Regionale Naturale della Valle del Lambro, istituito nel 1983 e nel 2003 è stato identificato come Sito di Interesse Comunitario (SIC), quindi è un’area protetta a tutti gli effetti.

Contatti
Parco Regionale della Valle del Lambro via Vittorio Veneto 19, Triuggio (MB); Tel. 0362.970961; info@parcovallelambro.it; http://www.parcovallelambro.it
Per l’econavigazione del lago di Pusiano
Pro Loco Bosisio tel. 338.1394577; econavigazione@prolocobosisio.it; www.prolocobosisio.it

Leggi qui per saperne di più sull’Isola dei Cipressi:
Sito dell’Isola dei Cipressi

Per saperne di più consulta anche:
S. Fasana, G. Mauri, A. Molteni, Il Pian d’Erba e i laghi Briantei, Bellavite Editore, Missaglia 1998.

Area del Castello

Castello di Erba*
* struttura scomparsa del tutto o in parte

Descrizione
(Silvia Fasana)

Il castello di Erba fu eretto probabilmente tra il X e il XI secolo, in posizione strategica per controllare il Pian d’Erba e il laghi della Brianza. I primi proprietari furono la famiglia ghibellina dei De Herba o Erba, per poi passare ai Parravicini di Parravicino.
I castellani di Erba vissero nel 1160 un importante momento di gloria durante la Battaglia di Tassera tra Federico Barbarossa e i Milanesi. Le sorti del combattimento erano a un certo punto favorevoli agli imperiali e ai loro alleati, quando gli abitanti di Erba e di Orsenigo, ribellandosi ai Parravicini loro signori, si precipitarono in soccorso dei Milanesi, offrendo il loro decisivo contributo e costringendo il Barbarossa a fuggire. Scriveva lo storico erbese Angelo Bassi: «Per quest’aiuto, Milano conferì ad Erba la cittadinanza milanese, onore rinnovatole poi da tutti i governi che si succedettero a Milano fino all’invasione francese del 1796; per questo Erba conserva lo stemma e la bandiera del Comune di Milano, la croce rossa in campo bianco».
Durante le lotte tra Torriani e Visconti, nel 1278 il castello fu assediato e conquistato temporaneamente da Cassone della Torre, il quale l’aveva cinto d’assedio per vendicarsi dei castellani alleatisi nella battaglia di Desio nel 1277 con il suo avversario, l’arcivescovo Ottone Visconti.
Nel 1404 Giovanni da Carcano, alleato dei Visconti, vi imprigionò due membri della famiglia Rusca, Franchino e Ottone, fino alla conclusione della pace tra Milano e Como; pochi anni dopo nel 1407, quando il castello fu preso dal condottiero Pandolfo Malatesta, Giovanni Visconti lo fece assediare allora da un altro famoso uomo d’armi del tempo, Facino Cane.
La distruzione del castello è da collocarsi tra la metà del ‘400 e quella del ‘500; nel 1560 era già un cumulo di rovine.
La famiglia Valaperta, quando nell’Ottocento acquistò la proprietà del luogo come residenza estiva, fece erigere due torri a pianta circolare nel lato del parco che guarda verso la valletta detta “Pravalle”, per ricordare il glorioso castello.

(Liberamente tratto da G. Mauri, La via dei castelli. Itinerario N. 3, Comune di Erba)

Villa Amalia

Villa Amalia

Informazioni
Collocazione: l’ingresso principale al parco di Villa Amalia, delimitato da un grande cancello in ferro battuto, è in Piazza San Giovanni Battista De La Salle, sulla destra della facciata della chiesa di S. Maria degli Angeli. Un secondo ingresso, quello usato dall’Istituto Liceo Statale “Carlo Porta”, è posto lateralmente sulla sinistra alla facciata della chiesa.
Pavimentazione: il piazzale su cui dà il secondo ingresso è in acciottolato, come pure il vialetto che vi conduce e quello che conduce all’ingresso principale. Di fronte al piazzale e ai lati dei vialetti ci sono aiuole a prato con alcuni alberi e panchine in pietra.
Barriere architettoniche: –
Servizi: parcheggi disponibili in zona.
Svago e Ristorazione: –

Descrizione
(Silvia Fasana)

Fino alla fine del secolo XVIII in questo luogo sorgeva il grande convento dei frati Francescani (prima Osservanti e dal 1594 Riformati) di Santa Maria degli Angeli, eretto tra il 1480 e il 1489 sui terreni donati da Galdo e Leone Carpani. Nel 1599 fu scelto dall’ordine come lanificio per la produzione dei tessuti per le tuniche dei frati di tutta la Provincia Riformata di Milano.
Dopo la sua soppressione nel 1798, fu acquistato all’asta della Repubblica Cisalpina dall’avvocato milanese Rocco Marliani, avversato tenacemente dagli abitanti di Erba “alta” che si opponevano con forza alla ventilata ipotesi che l’intero complesso, compresa la chiesa, fosse demolito completamente. Venne trovata una soluzione: il progetto di trasformazione del convento in villa fu affidato all’architetto Leopoldo Pollak, amico del Marliani (autore tra l’altro della Villa Reale di Milano, di Villa Antona Traversi a Meda, di Villa Saporiti a Como e di Villa Carcano ad Anzano del Parco). Inaugurata nel 1801 la villa fu dedicata dal Marliani alla moglie Amalia. I Marliani possedettero villa Amalia fino al 1828: in questi anni la villa visse il suo momento di maggior splendore e vi furono ospiti gli scultori Giuseppe Franchi e Antonio Canova, i pittori Giuseppe Bassi e Andrea Appiani, i poeti Vincenzo Monti, Giovanni Torti, Carlo Porta. In particolare Ugo Foscolo vi soggiornò ripetutamente e a villa Amalia nacque il suo tormentato amore per la bella Maddalena Marliani Bignami, figlia di Rocco e Amalia Marliani, che il poeta immortalò nel canto finale de “Le Grazie”.
Dai Marliani la villa passò ai banchieri Marietti, poi ai marchesi Stampa di Soncino; da questi ultimi l’acquistarono i conti Ammann per poi trasmetterla in eredità ai conti Padulli che la vendettero alla famiglia Chiesa di Chiasso. Dai Chiesa passò all’ordine religioso dei Fratelli delle Scuole Cristiane; dal 1963 è proprietà dell’Amministrazione Provinciale di Como e sede del Liceo Statale “Carlo Porta” (indirizzo linguistico e delle scienze umane).
Nonostante i numerosi passaggi di proprietà con le modifiche apportate all’edificio dalle diverse esigenze estetiche e pratiche dei suoi vari abitatori, gli esterni di villa Amalia escluse le dipendenze e i servizi vari, ci sono pervenuti nell’originale stile neoclassico.
Alla villa si accede dal cortile d’onore ricavato dal Pollak utilizzando l’impianto del chiostro dell’ex convento. In una delle due ali del fabbricato si può ancora vedere il portico detto “della Cappuccina”, in ricordo del monastero. Il portico è decorato da cinque lunette rappresentanti scene mitologiche (Diana e Endimione, Bacco e Arianna) ed episodi dell’Odissea (Ulisse ospite della maga Circe; Ulisse alla corte di Alcinoo con Nausicaa; Ulisse riabbraccia Penelope) attribuite a Giuseppe Bossi (1806 circa).
Dal cortile d’onore una breve scalea porta all’ingresso della villa: sopra le porte-finestre dell’ingresso è un bel fregio con Puttini vendemmiatori. La sala d’ingresso alla villa, presenta una decorazione tra lo stile gothic revival e il neorococò, ritenuta opera di Luigi Scrosati, voluta da Massimiliano Stampa in luogo dell’originale salone neoclassico dei Marliani. Sul soffitto vi è simulata una balconata continua, dietro la quale scorgono architetture gotiche e dalla quale si affacciano alcuni personaggi, «all’insegna della finzione scenografica e del “trompe-l’oeil”».
Alla sinistra dell’ingresso una porta dà accesso alla Biblioteca. Dall’ingresso si accede anche alla sala impero detta anche “Salone dell’Aurora”, l’unico ambiente pressoché intatto dell’arredamento originale in stile impero, così chiamata per la celebre tela incastonata sul soffitto, opera di Giuseppe Bossi. L’Aurora vi è effigiata come una donna alata che vince le tenebre della notte, raffigurata come una figura femminile, coperta da un manto scuro.
Lungo le quattro pareti corre una decorazione neoclassica forse eseguita da Giuseppe Bossi, recante quattro medaglioni: sopra la specchiera del camino è probabilmente effigiata Amalia Marliani e dirimpetto la figlia Maddalena Marliani Bignami, mentre gli altri due raffigurano il leone rampante, stemma dei Marliani. Le sovraporte furono dipinte alla fine dell’Ottocento dal pittore Felice Zennaro: raffigurano la Geometria, l’Industria, la Pittura, la Musica, la Poesia e la Scultura.
Alla destra del “Salone dell’Aurora” si succedono il Salotto giallo (di gusto eclettico, con un bel soffitto a stucchi, una bella specchiera pseudorococò, una etagère intarsiata e un tavolo con sedie primo Ottocento), il Salotto rosso (pure decorato a stucchi, con un ricco lampadario, un’elegante commode della cerchia del Maggiolini e sedie, poltrone e divano di gusto romantico) e il Salottino d’angolo (con arredi orientaleggianti e cinque medaglioni ovali rappresentanti scene di genere dipinte dal pittore Ignazio Manzoni verso il 1850).
Alla sinistra del “Salone dell’Aurora” si succedono invece la sala di lettura (con soffitto dipinto in stile neogotico attribuito al pittore Scrosati, con medaglioni raffiguranti gli antenati degli Stampa di Soncino) e la Sala da pranzo (con raffinati stucchi, un bel lampadario in ferro battuto e arredi originali dell’800).
Dal “Salone dell’Aurora” si accede al parco attraverso il pronao con belle colonne ioniche. L’interno del pronao è decorato con bassorilievi neoclassici forse opera del Bossi rappresentanti scene della Primavera, dell’Estate e dell’Autunno. Prospiciente il pronao è la fontana del Puttino, più lontana è quella dei Delfini.
Nel parco è collocata anche una bella statua della Dea Prudenza, retaggio del periodo neoclassico, attorno alla quale si innalzava nel secolo scorso un elegante tempietto.
In una nicchia fatta costruire dai Marliani è pure un busto di Giuseppe Parini, opera dello scultore neoclassico Giuseppe Franchi, per onorare il grande poeta di Bosisio, loro grande amico. Nei primi anni dell’800 il visitatore che si trovava a percorrere il viale del Parco dove è il monumento al Parini, schiacciando la ghiaia con il passo, metteva in moto un organo sotterraneo che emetteva una musica improvvisa che pareva incantata e che si richiamava alla lapide posta sotto al busto del poeta con scolpiti i versi dell’Ode “All’Inclita Nice”.
Il parco ha assunto l’attuale impianto nella seconda metà del secolo scorso, ad opera dei giardinieri dei marchesi Stampa di Soncino che vi profusero un’intera fortuna per trasformarlo in “orto botanico” di straordinaria ricchezza: pini, faggi, abeti, magnolie, l’immancabile Olea fragrans, rododendri, azalee, camelie, ortensie, cedri, cipressi, querce, platani, tigli, lauri, una sequoia gigantesca e araucarie, che sfumano a nord nella originaria fisionomia del bosco.
Accanto al cancello del parco della villa posto al lato sinistro alla chiesa, un totem del progetto “Le stelle del lago di Como” promosso dalla Camera di Commercio e dalla Provincia di Como, informa che a Villa Amalia sono state girate alcune scene del film del 1974 “Allònsanfan” dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, con Marcello Mastroianni e Lea Massari.

(Liberamente tratto da G. Mauri, Alla scoperta della Vecchia Erba. Itinerario N. 2, Comune di Erba)

Contatti
Per la visita a Villa Amalia e alla chiesa di S. Maria degli Angeli, occorre inviare richiesta scritta all’Amministrazione Provinciale di Como, Settore Fabbricati, Tel. 031.230313; Fax 031.230444.

Leggi qui per saperne di più su Villa Amalia:
Sito del Comune di Erba – Villa Amalia

Per saperne di più consulta anche:
Tornerà a fiorire Villa Amalia, Istituto San Vincenzo, Erba 2005.

Chiesa di S. Maria degli Angeli Interno

Chiesa di S. Maria degli Angeli

Informazioni
Collocazione: la chiesa di S. Maria degli Angeli è situata accanto a Villa Amalia, in Piazza San Giovanni Battista De La Salle.
Pavimentazione: il piazzale su cui dà l’ingresso della chiesa è in acciottolato, come pure il vialetto che vi conduce. Di fronte al piazzale e ai lati dei vialetti ci sono aiuole a prato con alcuni alberi e panchine in pietra.
I gradini che precedono l’ingresso sono in pietra. Al sommo dei gradini c’è un pianerottolo sempre in pietra. All’interno della chiesa, dopo una fascia in pietra, c’è una bella pavimentazione in cotto.
Barriere architettoniche: per accedere al portale occorre salire 9 gradini semicircolari in pietra, seguiti da un pianerottolo. Per accedere alla chiesa occorre superare una bassa soglia in pietra.
Accesso: alla chiesa si accede dall’ingresso che dà su Piazza San Giovanni Battista De La Salle, che immette in una bussola aperta sui due lati.
Servizi: parcheggi disponibili in zona.
Svago e Ristorazione: –
Altre informazioni: la chiesa è solitamente chiusa, tranne che in occasioni particolari come la grande festa di Sant’Antonio (metà gennaio).

Descrizione
(Silvia Fasana)

La chiesa di S. Maria degli Angeli è l’unica parte rimasta quasi intatta del precedente convento dei frati Francescani eretto tra il 1480 e il 1489 sui terreni donati da Galdo e Leone Carpani. La chiesa fu consacrata il 21 gennaio 1498 del francescano mons. Guglielmo, Vescovo di Segone in Corsica e, in origine, si presentava con la tipica struttura delle chiese francescane quattrocentesche. Soppresso l’adiacente convento e costruita in suo luogo la neoclassica villa Amalia, ne divenne la cappella.
L’attuale aspetto della chiesa risale ai lavori di adattamento dell’ex convento commissionati dall’avvocato Marliani a Leopoldo Pollack negli anni 1798-1801 e a quelli voluti in seguito dai diversi proprietari di Villa Amalia.
La semplice facciata a capanna, sormontata da un bel rosone, fu completamente ridipinta verso il 1850 in stile neo-gotico; ai suoi lati, entro delle nicchie dipinte “en trompe l’oeil”, sono raffigurati San Rocco (a sinistra in alto), San Pietro (a sinistra in basso), Sant’Antonio Abate (a destra in alto) e San Paolo (a destra in basso).
L’interno della chiesa è a navata unica, con soffitto a capriate in legno. Sulle pareti laterali sono ancora visibili i segni degli archi delle cappelle murate durante la ristrutturazione operata dal Pollack. Lungo la parete destra, dall’ingresso, si trovano il monumento tombale di Massimiliano Giovanni Rinaldo Stampa con un bassorilievo (Angelo con tromba) attribuito alla scuola di Canova e quello del conte Alberto Amman; segue un affresco datato 1496 raffigurante la Madonna con il Bambino e Angeli musicanti, sotto al quale si intravvede il lacerto di una Crocifissione e quindi l’altare settecentesco dedicato a Sant’Antonio, la cui statua del Santo probabilmente proveniva dalla soppressa Abbazia di Sant’Antonio Abate in Mevate (Erba “inferiore”). Sulla parete sinistra, vicino al presbiterio, si affaccia invece un elegante pulpito rinascimentale fatto trasportare dal marchese Massimiliano Stampa dalla soppressa Abbazia di Chiaravalle.
La parete nella quale si apre l’arco trionfale è occupata da un grande affresco con la Crocifissione attorniata da altri episodi evangelici correlati (l’Orto degli Ulivi e l’Incoronazione di spine a sinistra, l’Incredulità di S. Tommaso e l’Ascensione a destra), che riprende quello eseguito da Bernardino Luini nel 1529 nella chiesa di S. Maria degli Angeli a Lugano. Nel Settecento la parte centrale dell’affresco fu mutilata per consentire l’inserimento del nuovo altare maggiore, tutt’ora in loco: il tabernacolo con il tempietto di legno dorato fu realizzato dai fratelli Torricelli di Lugano nel 1738.
L’abside fu ridipinta verso il 1850 in stile neogotico (come la facciata) con un “trompe l’oeil” simulante una tenda.
La chiesa di S. Maria degli Angeli conservava gelosamente la reliquia della mano di Sant’Antonino martire, donata nel 1498. La tradizione vuole che nel ‘400 dalla reliquia si staccò un dito (rubato? asportato?) che finì nel Convento francescano dei Minori Riformati di Santa Croce a Como; una volta trovato e riportato ad Erba, il dito si sarebbe saldato miracolosamente al resto della mano.
La chiesa di S. Maria degli Angeli è anche nota come chiesa di S. Antonio, poiché ogni 17 gennaio, sul suo sagrato si celebra una grande festa dedicata al Santo, protettore degli animali. La festa in passato veniva celebrata davanti all’antica Abbazia di Sant’Antonio Abate in Mevate d’Erba, ma a seguito della soppressione di questa abbazia, la festa emigrò a Santa Maria degli Angeli. Al circo equestre e ai primi spettacoli cinematografici, che richiamavano curiosi da tutta la Brianza, si sono sostituiti il luna park e le decine di bancarelle con il finale del «Gran falò del purcel», in cui viene dato alle fiamme un maialino di cartapesta.

(Liberamente tratto da G. Mauri, Alla scoperta della Vecchia Erba. Itinerario N. 2, Comune di Erba)

Contatti
Per la visita a Villa Amalia e alla chiesa di S. Maria degli Angeli, occorre inviare richiesta scritta all’Amministrazione Provinciale di Como, Settore Fabbricati, Tel. 031.230313; Fax 031.230444.

Civico Museo di Erba

Civico Museo di Erba

Informazioni
Collocazione: Il Civico Museo di Erba è situato nell’ala sinistra della Villa Comunale di Crevenna (villa Ceriani) , in via Ugo Foscolo 23.
Pavimentazione: l’androne della villa è lastricato in pietra, come pure la parte di pavimentazione sotto il portico di ingresso; il cortile interno della Villa è in ghiaietto; lo scalone del giardino è in acciottolato e il vialetto per raggiungere l’ingresso del Museo è in ghiaietto. L’interno del Museo è piastrellato.
Barriere architettoniche: per accedere al Civico Museo di Erba occorre salire lo scalone (costituito da 17 gradini, seguiti da un pianerottolo e quindi, piegando a sinistra, da altri 16 gradini) che collega il cortile con il giardino retrostante la villa. L’esposizione museale si sviluppa sostanzialmente su un solo piano, con alcuni dislivelli: ci sono tre scalini per scendere dalla sala della Preistoria alla sala dell’orso delle caverne, tre gradini per ritornare dalla sala delle Ammoniti alla sala di accoglienza e un gradino (fare attenzione!) per accedere alla sala dei reperti non provenienti dal Triangolo Lariano.
Accesso: al Museo si accede dalla parte alta del parco della Villa Comunale di Crevenna.
Servizi: parcheggi disponibili in zona.
Svago e Ristorazione: bar e pizzeria in zona.
Altre informazioni: per gli orari, vedi il sito del Comune di Erba.

Descrizione
(Silvia Fasana)

Il Civico Museo di Erba, istituito nel 1961, ha occupato fino al 1977 alcune sale di Villa Majnoni, da dove è stato trasferito nella Villa Ceriani (conosciuta anche come Villa Comunale di Crevenna o Villa San Giuseppe), attuale prestigiosa sede. Nel 1999 la struttura ha subito un radicale rinnovamento, con la creazione di nuovi percorsi nel rispetto dei principi della più moderna museologia. Il Museo, sorto quale realtà intermedia tra le istituzioni maggiori di Como e di Lecco, con le quali è in costante contatto, occupa un ruolo importante nell’area dell’Alta Brianza e del Triangolo Lariano oltre che per la conservazione dei reperti paleontologici e archeologici di provenienza locale, anche per la tutela del patrimonio storico e culturale del territorio e per la divulgazione della sua conoscenza.
Nelle sette sale del Museo di Erba si ha infatti la possibilità di conoscere le tappe principali della storia e della preistoria della zona.
Il materiale proveniente dall’Alta Brianza e dal Triangolo Lariano è stato disposto nelle diverse sezioni seguendo un criterio cronologico che risale all’indietro nel tempo. Con questa scelta si è voluto simulare la situazione classica dell’archeologo quando opera su un’area di scavo: egli incontra per prime le testimonianze recenti e quindi, andando in profondità, si immerge via via sempre più nel passato. All’ingresso si trovano una serie di oggetti che rappresentano i simboli di ognuna delle sezioni: lo stemma visconteo del XV secolo, l’ara di epoca romana, il fossile di Ammonite dell’Alpe Turati che rappresenta le ere geologiche.
Le prime due sale sono dedicate all’età Moderna: qui sono conservati un affresco di Andrea Gentilino (1490) raffigurante la Madonna del Latte tra San Rocco e San Sebastiano, proveniente dall’ex Abbazia di S. Antonio a Mevate; un grande mappale dell’epoca di Maria Teresa d’Austria e il pulpito ligneo della Chiesa plebana di S. Eufemia di Incino.
Con un ulteriore balzo all’indietro nel tempo si arriva nella sala dedicata al Medioevo, dove è custodito il pezzo di maggior rilievo: una spatha (spada) longobarda dalla splendida impugnatura decorata con agemina d’argento (una tecnica orafa particolarmente diffusa nell’Alto Medioevo), rinvenuta a Parravicino d’Erba nel 1961. Nelle sezioni riguardanti l’età Tardo Antica e quella Romana, tra i più importanti reperti esposti vanno ricordati i corredi funebri ritrovati in diverse località della zona (Albavilla, Erba, Tavernerio, Onno, Proserpio, Valbrona, Lasnigo, Caslino d’Erba). Particolarmente degne di nota sono l’urna cineraria di Caninia Optata, scoperta nelle mura della sacrestia della chiesa di S. Eufemia di Incino, e tre armille, antichi braccialetti in bronzo con estremità aperte a testa di serpente, provenienti da Lezza di Ponte Lambro. Nelle vetrine dedicate alla Preistoria e alla Protostoria sono custoditi oggetti di corredo provenienti da tre tombe rinvenute a Canzo, risalenti all’età del Rame – età del Bronzo, un palo di palafitta ritrovato nel lago di Pusiano; alcune punte di freccia di tipologia neo-eneolitica rinvenute in Valle Bova; materiali mesolitici rinvenuti nel corso dello scavo effettuato negli anni ’80 del secolo scorso sul Monte Cornizzolo dal Museo “Paolo Giovio” di Como; frammenti ceramici, perforatori in osso e punte di freccia in selce rinvenute nello scavo dell’insediamento di età del Bronzo sulla sponda nord del lago del Segrino.
Le ultime due sale ospitano reperti paleontologici che rappresentano la più antica fauna vissuta in questa zona, tra cui alcuni resti dell’orso delle caverne (Ursus spelaeus), recuperati nella grotta Buco del Piombo. Questo Mammifero, che si estinse attorno a 18.000-20.000 anni fa durante l’ultima avanzata glaciale, aveva l’abitudine di trascorrere il lungo letargo invernale all’interno di cavità naturali, consumando le riserve di grasso accumulate durante la stagione favorevole e passando talvolta dal sonno alla morte; è per tale motivo che i resti di questo animale si rinvengono abbondanti nelle grotte. Non si può dimenticare anche l’interessante collezione di Ammoniti, molluschi marini fossili con la caratteristica conchiglia a spirale piana, provenienti dall’Alpe Turati, sopra Albavilla. Questi resti di animali conservati nella pietra sono la testimonianza di periodi ancor più remoti, quando la nostra zona era occupata dal mare, prima della formazione delle Alpi. Presso questa località affiora infatti una successione rocciosa molto fossilifera, risalente al periodo Giurassico (da 202 a 140 milioni di anni fa), scoperta fin dalla metà dell’Ottocento e diventata rapidamente celebre grazie alle ampie raccolte dell’abate Antonio Stoppani, insigne naturalista del tempo. Da allora l’Alpe Turati è stata oggetto di numerosi studi, culminati con una serie di scavi svolti dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Milano negli anni 1998 – 2000 e promossi proprio dal Museo di Erba.
Un’ulteriore sala ospita reperti non provenienti dal Triangolo Lariano, tra cui oggetti di arte egiziana e orientale.
Nel cortile del Museo sono raccolti alcuni sarcofagi con relative coperture, macine in granito e soprattutto due massi-avello, ovvero massi erratici in cui è stata scavata una tomba. Queste sepolture, molto probabilmente destinate a personaggi di alto rango, costituiscono una singolarità della zona che va da Como al Canton Ticino, dalla Brianza alla Valtellina. Di datazione ancora incerta, in quanto fino ad ora sono stati trovati sempre manomessi e privi di corredo, vengono verosimilmente attribuiti al V – VII secolo d.C., tra la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e l’occupazione da parte dei Longobardi del territorio lariano dopo la resa dei Bizantini, attestati nelle fortificazioni dell’Isola Comacina. I due esemplari conservati a Erba provengono uno da Fraino di Asso e uno da Magreglio.

Contatti
Museo Civico di Erba presso Villa Ceriani, via Ugo Foscolo 23, Erba; Tel. 031.3355341; museoerba@comune.erba.co.it

Per visite guidate è possibile controllare i giorni e gli orari disponibili al link

Per prenotare la visita si prega di contattare il museo ai recapiti sopra riportati.

Leggi qui per saperne di più sul Civico Museo di Erba:
Sito dell’Ecomueo del Distretto dei Monti e dei laghi Briantei